Tutti, prima o poi, attraversiamo la sindrome dell’impostore. Ti senti sbagliato in un mondo che ti vuole perfetto e altamente performante, e per quanto tu ti impegni, sembra non bastare mai.
A volte, basta un piccolo commento ricevuto nell’infanzia per dare vita all’impostore che oggi vive dentro di te.

Caratteristiche che definiscono la Sindrome dell’Impostore
Per comprendere meglio questa dinamica — che ha colpito anche me — ho letto il libro di Sandi Mann – La sindrome dell’impostore. Perché pensi che gli altri ti sopravvalutino molto ricco di informazioni utili per poter superare questa problematica. Un testo molto ricco di informazioni utili per superare questa sensazione di inadeguatezza.
Ti lascio il link al mio video YouTube per approfondire come ne sono uscita, qui ti offro una breve sintesi.
Sandi Mann elenca alcune caratteristiche tipiche dell’“impostore”:
- La convinzione che gli altri ti sopravvalutino;
- Il timore costante di essere scoperto come un “imbroglione”;
- La tendenza ad attribuire i successi a fattori esterni, come la fortuna o il duro lavoro, mai al proprio valore.
Chi è più a rischio può sviluppare la sindrome chi:
- Studenti, che vivono costantemente sotto valutazione.
- Professionisti in ambiti accademici o creativi, dove il confronto con gli altri è continuo e spesso schiacciante.
- Individui di grande successo, che sentono il peso delle aspettative e la paura di non essere all’altezza dei propri traguardi.
- Professionisti o studenti universitari di prima generazione, i primi nella propria famiglia a raggiungere determinati risultati, spesso caricati da aspettative molto alte.
- Chi ha seguito percorsi atipici o non convenzionali, e teme di non avere le stesse “credenziali” degli altri.
- Persone appartenenti a gruppi sottorappresentati, che sentono il bisogno di dimostrare il proprio valore due volte.
- Chi è cresciuto con genitori di grande successo, e vive il confronto come un costante metro di giudizio.
- Lavoratori autonomi o freelance, che operano in contesti digitali e ricevono poco feedback diretto o umano, finendo per dubitare della qualità del proprio lavoro.
Le tipologie di dinamiche familiari
Il sentirsi un impostore nasce spesso all’interno della famiglia.
Le radici della sindrome dell’impostore affondano nei modelli educativi e nelle aspettative genitoriali, che si imprimono nel nostro inconscio fin da piccoli.
Di solito, chi vive questa sindrome proviene da una di due dinamiche familiari principali:
Dinamica familiare di tipo 1: Sorella/fratello di successo
Se sei cresciuto in una famiglia dove un fratello, una sorella o un parente otteneva sempre grandi risultati, probabilmente ti sei sentito “meno”.
Quando una persona nella famiglia viene vista come “la migliore”, chi le sta intorno tende a non essere riconosciuto anche quando ottiene successi.
Questo può portarti a non capire se stai cercando di dimostrare qualcosa a te stesso o ai tuoi genitori, alimentando così l’impostore interiore.
Dinamica familiare di tipo 2: Il figliol prodigo
Se invece sei stato messo sul piedistallo, oggetto di enormi aspettative, hai vissuto l’altro lato della medaglia.
Quando hai iniziato a sperimentare fallimenti o a renderti conto di non essere perfetto come ti considerava la tua famiglia, hai smesso di fidarti delle loro percezioni e hai cominciato a dubitare delle tue capacità.
È così che nasce la sindrome dell’impostore: non ti senti più all’altezza dell’immagine ideale costruita su di te.

I cinque tipi di impostore
Il perfezionista
Ti concentri su obiettivi e aspettative talmente elevati da non riuscire quasi mai a soddisfarli. Anche quando raggiungi un traguardo, ti è difficile sentirti davvero soddisfatto.
Tendi a focalizzarti su ciò che potresti migliorare, invece che su ciò che hai fatto bene, e questo ti genera ansia. Rimugini per giorni su errori o dettagli insignificanti, e fai fatica a delegare perché credi che nessuno rispetterebbe gli standard che ti sei imposto.
Per te, sbagliare equivale a fallire.
La tua frase tipica potrebbe essere: “Se non posso fare le cose alla perfezione, tanto vale non tentare neanche.”
Il Superuomo o la Superdonna
Il tuo senso di valore non è legato tanto a ciò che fai, ma a quanto fai.
Ti senti in dovere di essere bravo in tutto: al lavoro, come partner, come genitore… una sorta di superdonna o superuomo sempre all’altezza di ogni ruolo.
Cerchi costantemente una conferma esterna, invece di ascoltare la tua voce interiore.
Per questo motivo fai fatica a rilassarti e a goderti il tempo libero: devi sempre fare qualcosa per dimostrare che vali.
Quando qualcosa va storto, temi che crolli l’immagine di persona straordinaria che hai costruito — e ti convinci di non esserne all’altezza.
La tua frase tipica potrebbe essere: “Se non sono perfetto in ogni ruolo che assumo, allora ho fallito. Devo essere in grado di conciliare tutti gli impegni.”
Il talento naturale
Tendi a pensare che la grandezza sia una dote innata.
Questo significa che, se devi impegnarti per raggiungere un obiettivo, inizi a non sentirti più “a posto”, come se il dover faticare fosse la prova che non sei davvero capace.
Hai spesso ottenuto risultati con facilità — magari a scuola prendevi ottimi voti senza troppo sforzo — ma quando una situazione richiede più impegno, ecco che si manifesta l’impostore.
La tua mentalità è legata all’idea di dover essere un talento “naturale”, e questo ti porta a demoralizzarti al primo ostacolo, aspettandoti di essere perfetto fin da subito.
Per lo stesso motivo, ti irriti quando qualcuno ti offre aiuto: sei convinto di dovercela fare da solo, come prova del tuo valore.
A volte, eviti di accettare nuove sfide per paura di non brillare, oppure ti scoraggi così presto da lasciar perdere.
La tua frase tipica potrebbe essere:
“Se non mi riesce subito, allora vuol dire che non sono portato per questo.”
L’individualista accanito
Sei convinto che il successo significhi riuscire a fare tutto da solo, contando solo sulle tue forze.
Quando qualcuno ti offre aiuto, tendi a non considerarlo più un vero successo personale.
Hai bisogno di dimostrare — soprattutto a te stesso — di essere pienamente capace, e per questo l’idea di ricevere supporto ti fa sentire come se non fossi all’altezza.
Credi che accettare aiuto significhi ammettere una debolezza, e questo mina la tua autostima.
La tua frase tipica potrebbe essere:
“Se devo chiedere aiuto, allora non valgo davvero.”
L’esperto
Hai posto la soglia della competenza così in alto da renderla praticamente irraggiungibile.
C’è sempre qualcosa che ti manca, un livello successivo che non hai ancora raggiunto — e forse non raggiungerai mai, perché il tuo standard è semplicemente troppo alto.
Sai bene che nessuno può sapere tutto, eppure ti senti “smascherato” ogni volta che non conosci una risposta o non padroneggi un argomento alla perfezione.
Investi gran parte del tuo tempo ed energie per formarti e migliorarti, ma questo diventa presto un’ossessione: ti senti sempre poco qualificato e finisci per evitare opportunità o promozioni.
Esiti a mettere in pratica le tue conoscenze finché non ti senti davvero “abbastanza esperto”, ma quel momento non arriva mai.
Per te, essere un esperto significa sapere tutto; se non lo sai, ti convinci di essere un impostore.
E chiedere aiuto? Impensabile — sarebbe come ammettere che non sei davvero competente.
La tua frase tipica potrebbe essere:
“Dovrei essere un esperto… mi serve ancora formazione, più esperienza, più competenze, prima di potermi mettere davvero in gioco. Gli altri ne sanno sempre più di me.”

L’infanzia di chi soffre di sindrome dell’impostore
Bassa autostima, scarsa fiducia e poca autoconvinzione sono gli ingredienti principali di questa sindrome.
Non ti senti mai abbastanza bravo, e questa percezione affonda le sue radici proprio nell’infanzia.
Spesso la convinzione nasce come una “convinzione nucleare”, ovvero quei valori e credenze su te stesso che hai interiorizzato dagli altri — genitori, insegnanti o figure di riferimento — e che oggi percepisci come parte della tua natura.
Differenza tra autostima e autoconvinzione
L’autostima riguarda ciò che senti di poter fare, ciò in cui ti senti bravo.
L’autoconvinzione, invece, è ciò che credi vero su di te nel profondo: il livello di approvazione, accettazione e valore che senti di meritare.
L’autostima è composta di due parti:
- Autostima globale (o di tratto): più stabile, si basa sull’opinione generale che hai di te.
- Autostima di stato: varia a seconda delle circostanze, come le situazioni in cui ti senti non all’altezza.
Cause che generano una bassa autostima
Disapprovazione da parte dei genitori o figure autorevoli
Se da bambino ti è stato detto che “non vali abbastanza”, anche in un solo ambito, potresti aver generalizzato quella sensazione a tutta la tua vita.
Genitori che esortano un controllo eccessivo
Crescere con genitori troppo protettivi può farti credere di non poter fare nulla da solo.
Mancanza di attenzione da parte dei genitori o caragiver
Se non hai ricevuto attenzioni o riconoscimenti adeguati, potresti aver interiorizzato l’idea di non meritare amore o interesse.
Essere vittima di bullismo
I messaggi distruttivi ricevuti a scuola o da coetanei possono minare l’immagine di te, soprattutto se non ci sono state figure positive a controbilanciare.
Scarsi risultati accademici
Andare male a scuola può farti sentire “sbagliato”, come se il bisogno di aiuto fosse la prova di un’incapacità.
Convinzioni religiose
Crescere sentendoti colpevole o “peccatore” può generare la sensazione di non essere degno d’amore.
Essere paragonati sfavorevolmente da altri
Essere costantemente paragonato agli altri — fratelli, parenti o modelli sui social — alimenta l’insicurezza.
Aspetto
Subire violenza o manipolazione può farti credere di meritare un cattivo trattamento, rafforzando l’impostore interiore.
Abusi
I bambini vittima di abusi possono sviluppare la convinzione di meritarsi un cattivo trattamento, perché ciò corrisponde al loro scarso valore. Lo stesso vale per adulti vittime di abusi.
Chi ha una scarsa autostima tende a cercare validazione esterna e a misurare il proprio valore in base ai riconoscimenti ricevuti.
Un like, un commento, un numero di visualizzazioni diventano la misura del tuo successo.
Ma questa ricerca costante di approvazione alimenta la sindrome dell’impostore, perché ti porta a basare la tua autostima su fattori esterni, invece che su ciò che senti dentro.
Chi soffre di questa sindrome finisce spesso per misurare i propri traguardi solo attraverso risultati materiali, dimenticando la parte invisibile ma più autentica della felicità: quella che nasce dall’accettazione di sé.
Come ho superato la sindrome dell’impostore
In questa storia, i miei genitori non c’entrano assolutamente nulla, anzi, loro mi hanno sempre spronata ad andare bene a scuola, ma non hanno mai insistito per farmi eccellere o essere la prima della classe. C’erano comunque delle regole, ma non erano ferree; insomma, non avevano pretese onnipotenti su di me.
In questo articolo ho fatto molto riferimento al fatto che solitamente la sindrome nasce da paragoni — in alcuni casi tra fratelli e sorelle, compagni di classe ed amici — ma nel mio caso nessuno di questi rientra nella mia sindrome dell’impostore.
Non pensavo minimamente di soffrirne, anche se i campanelli d’allarme erano veramente tanti. Solo quando ho cambiato azienda tutto è venuto fuori all’improvviso: infatti io non mi sentivo minimamente all’altezza di quel posto di lavoro, sia prima di accettare che durante il primo mese.
Il peggio è arrivato comunque dopo: quello di prima è stato semplicemente un assaggio, quando ho deciso di iniziare questa nuova attività. Mi sentivo sempre in difetto e “meno” rispetto a tutte le altre, che ovviamente erano avanti a me sia come esperienza che come anni di lavoro in questo contesto.
È stato proprio in quel periodo che ho deciso di raccontare la mia esperienza senza filtri nella seconda parte del video sulla sindrome dell’impostore: nel video approfitto per dire ciò che qui non posso spiegare nel dettaglio, ed è probabilmente la parte che ti farà dire “ok, adesso ha senso”.
Puoi guardarlo qui: Come ho superato la Sindrome dell’Impostore
Quindi ho iniziato a fare l’investigatrice interiore di me stessa, come faccio sempre, per capire quale fosse il vero problema alla base. Alla fine avevo tutte le capacità comunicative, avendo lavorato in questo contesto da anni; sì, mancava l’esperienza, ma piano piano quella si acquisisce.
Quindi ho iniziato a fare l’investigatrice interiore di me stessa, come faccio sempre, per capire quale fosse il vero problema alla base. Alla fine avevo tutte le capacità comunicative, avendo lavorato in questo contesto da anni; sì, mancava l’esperienza, ma piano piano quella si acquisisce.
L’unica cosa di cui ero certa era la competizione con il sesso femminile: reputavo sempre le altre migliori di me in tutto, anche nel contesto sentimentale. Loro avevano qualcosa in più che a me mancava!
Ma anche dopo aver letto il libro di Sandi Mann, non riuscivo davvero a trovare l’arcano di questa storia. Poi, un giorno, all’improvviso, ecco l’illuminazione.
Sin da quando sono nata sono sempre cresciuta all’ombra di una cugina, la primogenita in tutto. Lei era brava in qualsiasi cosa, eccelleva in tutto fin dalla nascita. Era la migliore in tutto, e i suoi genitori non facevano altro che lodarla ovunque e con chiunque. Anche i nonni facevano la stessa cosa, creando quel giochino malato del paragone, soprattutto con me: “Perché non ti comporti come lei?”, “Perché non fai come lei? Lo vedi, lei è brava”.
Io, maschiaccio e scaricatore di porto, non mi sognavo minimamente di voler essere come lei; anzi, ero sempre la pecora nera della famiglia, e lei invece quella bella, brava ed educata. Eppure, inconsciamente, la emulavo per accontentare le aspettative degli altri, ovviamente da grande, ormai ultraventenne.
Mi erano rimaste in testa quelle parole: che lei era sempre e comunque più brava di tutti, portandomi ad odiarla perché non ne potevo più di queste adulazioni continue.
La colpa certamente non è la sua, anzi, sicuramente lei ha vissuto la parte dell’essere messa sul piedistallo e quindi, immagino, non potesse permettersi nessun errore: dover essere sempre perfetta e super performante.
Inconsciamente lei è sempre stata il mio metro di paragone: quell’irraggiungibile, la donna che aveva quel qualcosa in più che per anni non sono riuscita a comprendere. Ecco perché mi sentivo sempre inferiore alle altre. Il voler cercare la perfezione estetica e interiore per poter arrivare a quei livelli inconcepibili creati da mia nonna e dai miei zii.
Se guardo indietro alla mia vita, nonostante tutte le cose brutte che mi sono successe, ho sempre portato a termine tutto, e anche con discreto successo. Ho sempre avuto un innato problem solving che mi ha aiutata in tantissimi aspetti della vita. Ad oggi mi rendo conto che ho avuto i miei successi, anche grandi, che mai mi sarei immaginata, e che nessuno ha più o meno di me, soprattutto le donne.


