Frankenstein: il tutto è più della somma delle parti

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La Creatura di Frankenstein nasce dal desiderio umano di ricreare la vita, ma anche di rimettere insieme ciò che è stato spezzato.
Ogni pezzo del suo corpo racconta una storia, ma è solo l’insieme a renderlo vivo.
Come diceva Aristotele, il tutto è più della somma delle parti: solo integrando ogni frammento possiamo comprendere davvero chi siamo.

Frankenstein il tutto e piu della somma delle parti

Per mesi mi sono arrivati messaggi da ogni dove, che mi suggerivano di iniziare a leggere Frankenstein – Il moderno Prometeo. Tutto è iniziato con una sincronicità: mi sono imbattuta nel film di Mary Shelley – Un amore immortale , e lì ho avuto una folgorazione: ho capito cosa avrei dovuto scrivere nel mio libro.

Col tempo, comunque, non sono riuscita a iniziare a leggere il libro della Shelley, ma Frankenstein continuava a comparire nella mia vita fino a quando ho visto il film di Del Toro. Guardandolo, volevo cogliere un significato più profondo in quelle cicatrici, la caratteristica peculiare della Creatura di Frankenstein. Sono un simbolismo molto più profondo di quello che appare, ma ciò che colpisce di più è proprio il fatto che tutti noi le abbiamo; solo che noi, a differenza della Creatura, sappiamo nasconderle meglio.

Racconto tutto questo anche nel mio video su YouTube, dove esploro la Creatura di Frankenstein e il viaggio verso il perdono, con esempi e riflessioni che puoi osservare in azione.

Vedere quelle cuciture sul corpo della Creatura ha fatto emergere in me una consapevolezza profonda: tutte le suture non sono altro che frammenti cuciti su misura dagli altri. Ogni persona che incontriamo ha saldato in noi un pezzo, spesso attraverso le paure che ci trasmettono, e che col tempo diventano le nostre: le paure dei genitori, delle figure di accudimento, della scuola e, infine, della società.

Ed è proprio dall’assemblaggio di tutti questi frammenti che nasce il “tutto”. Noi siamo la somma delle tante parti che gli altri ci hanno cucito addosso. Ma, come insegna la teoria della Gestalt e, ancora prima, Aristotele:

“Il risultato di un’interazione tra le parti è superiore alla mera somma delle singole parti, perché le connessioni e le relazioni tra di esse creano un valore aggiunto”

Così, da questi pezzi sparsi nasce un sistema nuovo e unico: Noi.

Ogni cicatrice che portiamo con noi, è un segno del percorso che ci ha formati. Le esperienze vissute, i traumi e le gioie si intrecciano come fili invisibili, cucendo insieme la nostra identità. Così come la Creatura di Frankenstein non è definita da un singolo pezzo, anche noi non siamo solo le nostre paure o i nostri errori, ma l’insieme di tutto ciò che ci è stato donato e imposto.

Questa consapevolezza ci invita a guardare i nostri frammenti con occhi diversi. Ogni sutura rappresenta un insegnamento, un pezzo di saggezza o una lezione imparata attraverso il dolore. Accettando ogni parte di noi, compresa quella che gli altri hanno cucito, possiamo iniziare a vedere il nostro “tutto” come qualcosa di unico e potente.

In questo senso, la Creatura diventa uno specchio: ci mostra che ciò che sembra imperfetto o spezzato può generare armonia, bellezza e forza, e che solo integrando ogni frammento possiamo comprendere la nostra vera essenza.

Non so se a voi sia mai capitato, ma nei momenti di grande crisi mi sono trovata a urlare ai miei genitori, più e più volte: “Perché mi hai messo al mondo?”
Anche la Creatura di Frankenstein rivolge la stessa domanda al suo Creatore: perché mi hai dato la vita, se non trovo appagamento, se non riesco a trovare uno scopo in questa esistenza.

La ricerca della propria identità, del senso della vita, è una sfida che ci appartiene tutti. Cercare di dare un significato a ciò che ci accade, trasformare la nostra esistenza, plasmarla e cucirla come un abito su misura, che ci doni libertà, bellezza e soddisfazione, è il percorso di chi vuole vivere pienamente.

La Creatura sente il bisogno di tornare alle proprie origini per capire chi è davvero. E quando scopre che i suoi sogni sono fatti di frammenti dei cadaveri che lo compongono, realizza anche il motivo della propria esistenza: un impulso egoico, perché anche il Creatore cercava riconoscimento e affetto da un padre che non lo ha mai amato — come rappresentato nel film (nel libro, la storia è differente).

Anche noi, soprattutto chi ha vissuto un risveglio interiore, sentiamo il bisogno di risalire alle nostre radici, comprendere chi siamo davvero e distinguere quali parti di noi siano autentiche e quali siano semplici cuciture create dal desiderio di essere amati, accettati o riconosciuti. È come se, senza l’altro, non potessimo trovare la nostra autonomia né vivere pienamente.

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La Creatura, appena nata, pur avendo sembianze adulte, conserva una natura profondamente infantile. Ogni gesto, ogni sguardo è un tentativo di capire il mondo, di esplorarlo, di assorbirne il senso. Come una spugna, prende tutto ciò che Victor Frankenstein le offre, ma ben presto il creatore si accorge che non potrà mai modellarla a sua immagine e somiglianza.

Il dottore allora inizia a ferire la sua stessa creazione, insegnandole odio e cattiveria, trasmettendo il peso delle sue stesse ferite. Ferite subite da un padre che chiedeva perfezione, che condizionava il suo valore all’approvazione e al riconoscimento, e che non sapeva amare.

Così, di generazione in generazione, il dolore e l’odio si tramandano. Non è forse lo stesso anche nella nostra vita? Quante volte portiamo dentro ciò che ci è stato insegnato, inconsapevoli, e lo trasmettiamo a chi ci sta accanto, nel bene o nel male?

L’odio di Victor verso la Creatura, tramandato dal padre, non fa che generare altro odio, che si riflette contro di lui, senza fine. Anche noi, quando veniamo denigrati o feriti, reagiamo spesso con la stessa rabbia, ripetendo inconsapevolmente i comportamenti che ci hanno modellato, perpetuando un circolo vizioso da cui sembra impossibile uscire.

E così, portiamo dentro di noi una rabbia silenziosa e corrosiva, un peso che ci logora lentamente. Pensiamo di poterlo riversare sugli altri, su chi ci ha ferito, su chi ci ha dato la vita senza averci amato abbastanza. Ma questa rabbia si diffonde, si moltiplica, e alla fine colpisce tutto e tutti, compreso noi stessi. Ci fa sentire sconfitti, soli, non amati, non sostenuti: un grido muto di chi non ha voce, ma che continua a vivere dentro di noi.

Per quanto l’altro possa ferirci, distruggerci o odiarci, siamo esseri viventi destinati a vivere con gli altri, e soprattutto a ricercare il loro amore, perché gli altri sono il nostro specchio. Camminiamo in questa vita alla ricerca di qualcuno che ci riconosca, anche se spesso attraiamo persone che ci restituiscono un’immagine distorta di noi stessi.

La Creatura, proprio come noi, incontra difficoltà nel trovare chi l’accetti e l’ami per quello che è.

Le ferite arrivano per prime. Paradossalmente, appaiono più evidenti di ciò che siamo nell’anima. Pensiamo di saperle nascondere, ma in realtà parlano da sole e si mostrano, come se chiedessero, più di chiunque altro, di essere amate.

Spesso ci convinciamo che siano gli altri a possedere l’unguento capace di guarirci, ma la verità è che la cura è sempre stata nelle nostre mani. Solo quando restiamo soli con noi stessi capiremmo di dover occuparci delle nostre cicatrici.

E allora, proprio in quel momento, si apre la porta della magia: iniziamo a risuonare con l’universo, con la nostra anima. Le persone che ci riconoscono cominciano ad arrivare, e finalmente ci sentiamo accolti, amati e compresi. Apparteniamo a un nucleo che ci rispetta, ci ascolta, e ci permette di essere davvero noi stessi.

Quando si raggiunge la maturità di sé stessi, si comincia davvero a comprendere e ad accettare. La Creatura di Frankenstein ci ricorda proprio questo: la capacità di perdonare, di guardare alle nostre ferite e trasformarle in strumenti di consapevolezza. Solo così possiamo scoprire le nostre vere capacità e lasciar emergere la nostra essenza più autentica.

Se vuoi fare un passo in più, ho pubblicato anche un video su YouTube dedicato alla meditazione che ti aiuta a liberarti dal peso emotivo: Guarda la meditazione su YouTube

Il perdono ci libera dalle catene che gli altri hanno appeso intorno a noi, catene che abbiamo portato inconsapevolmente per anni, fino al momento in cui la consapevolezza ci permette di spezzarle.

Perdonare non è un segno di debolezza: è la più alta forma di coraggio e di amore verso noi stessi. Non significa rivolgersi a chi ci ha ferito, ma sciogliere il vincolo invisibile che ci lega al dolore. Così facendo, l’altro non avrà più potere su di noi. Continuare a nutrire rabbia o odio significa, invece, giocare inconsapevolmente secondo le regole di chi ci ha ferito.

Ma quando lasciamo andare quella zavorra, quando scegliamo di liberare la nostra anima dal peso del rancore, nessuno potrà mai più controllarci. È allora che sentiamo la leggerezza e la forza di essere finalmente noi stessi, in armonia con noi stessi e con l’universo che ci accoglie.

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